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Sintesi di: "LA FILOSOFIA DELL'ARTE” : Gli Attributi dell'arte


di Giovanni Gentile

Indice

 

  1. L'arte, le arti e la bella della natura.

L'unità e la molteplicità della lingua, e l'accento.

La lingua è sentimento e pensiero.

Ora, come il pensiero è un eterno circolo dialettico: soggetto-oggetto-soggetto, nonché unità-molteplicità-unità; così anche la lingua è un'unità che presenta in sé una molteplicità (lessicale e grammaticale). Procedere al discorso, infatti, significa mettere insieme una molteplicità elementi del pensiero, che si presentano attraverso svariate immagini, in un unico discorso. Pertanto dalla molteplicità si torna sempre all'unità.

Per usare un esempio, così come accade quando si legge un libro, si deve arrivare prima all'ultima pagina per avere un'impressione unica e definitiva di quanto si legge, che sola può dare l'accento giusto ad ogni parola in una seconda lettura. Ed è proprio nell'accento che si usa quando si parla che emerge il sentimento, l'unità che è a fondamento della lingua. L'accento, infatti, rimane unico e identico nelle diverse lingue proprio perché appartiene all'uomo in quanto uomo, e non al dialetto usato, delle nazioni o dei tempi.

La tecnica

Uno dei problemi irrisolti nell'ambito della produzione artistica è proprio quello della tecnica.

La tecnica, che è da intendersi come quella conoscenza di cui l'artista ha bisogno per mettere in atto le immagini e i concetti della propria mente, è pensiero.

Si distingue nettamente dall'arte, perché ne è un antecedente: è pensiero che torna al sentimento, è elemento costitutivo del nuovo soggetto tale che lo aiuti ad oggettivare se stesso.

Come ogni altro sapere, la tecnica si impara a scuola; ma deve essere distinta dalla pseudotecnica, che è una tecnica che viene confusa per arte ed ha come conseguenza il sopraggiungere del materialismo e del meccanicismo (che si manifesta nell'imitazione, nelle scuole, negli stili).

Gli antecedenti dell'arte e la lingua come tecnica

Come la tecnica, tutti gli elementi costitutivi della personalità dell'artista (in quanto si profila come puro sentimento) sono antecedenti dell'arte.

Si è detto che il pensiero è circolo. Bene, c'è sempre un punto del circolo in cui il sentimento torna a sé arricchendosi della vita vissuta, e di cui approfitta per la sua vita ulteriore.

La lingua, come ogni prodotto del pensiero che ritorna al sentimento e lo ricrea, è tecnica; si risolve perciò in un antecedente dell'arte, annullato nella stessa forma del sentimento.

Il preteso esteriorizzamento dell'opera d'arte

Altri antecedenti dell'arte sono pure tutti i mezzi fisici (suoni, colori, marmo, ecc.) di cui l'artista si serve nella sua arte, non per esteriorizzarla, ma per crearla.

Non si può parlare di un'esteriorizzazione dello spirito, poiché non c'è nulla di concepibile fuori dello spirito, ma sempre e solo di creazione, perché la sua è pura attività spirituale. E', infatti, attraverso i mezzi necessari che il soggetto trova in sé la possibilità di oggettivarsi in una forma nuova. Non c'è un qualcosa di esterno che si aggiunge all'interno, ma lo stesso interno che è quel nuovo sentimento.

Il contenuto come tecnica

Equivalente al concetto di tecnica è quello di contenuto, sebbene di primo acchitto appaia il contrario.

Il contenuto è ciò che emerge nell'oggetto, ma non potrebbe venire ad emergere come oggetto se non fosse prima nel soggetto. Si può, infatti, distinguere tra un contenuto astratto (che è un antecedente) e contenuto concreto (che è un conseguente dell'opera d'arte).

Quindi contenuto è tutto il pensiero, tutta la costruzione che si svolge nella nostra coscienza mediante l'opera d'arte, tutto ciò, in quanto emerge con l'opera d'arte.

La molteplicità dell'arte come tecnica; e i generi letterari

L'arte, nel suo carattere estetico, è una sola; mentre le tecniche che la realizzano sono molteplici. Ora, ogni opera d'arte ha la sua tecnica, pertanto ciascuna può dirsi un'arte a sé. Ne deriva che non ci sono 5 generi artistici contraddistinti da limiti non valicabili; ma un'infinità, tanti quante sono le opere d'arte. Tuttavia, la distinzione aiuta a mettere in rilievo le differenze sostanziali che ci sono tra le tecniche usate.

Pertanto, ancora una volta, possiamo rintracciare l'unità dell'arte dietro la molteplicità delle tecniche.

Così come avviene per i generi artistici, anche i generi letterari si distinguono sulla base delle tecniche usate. Sebbene l'elemento peculiare di ogni opera d'arte consista nella soggettività sentimentale dalla quale assume il contenuto, esistono pure dei caratteri che ne permettono una classificazione in generi, questi caratteri appartengono però al piano strettamente tecnico.

La lirica, la poesia, la musica

Nessun genere letterario arriva ad essere la forma dell'arte, perché sono tutte tecniche, suscettibili di variazioni infinite.

Il concetto della natura e il problema della sua bellezza

Già nell'Introduzione e nel capitolo sul sentimento, Gentile ha esposto la sua concezione di natura: è opposta al pensiero ed è perciò nel pensiero stesso; è il soggetto che il pensiero trova dentro di sé, come l'essere di cui è il divenire.

E' natura come l'universo intero, in cui sono ritagliati il nostro corpo particolare e le cose finite che da esso si distinguono. Una natura a cui il pensiero si rivolge quando vuole accertarsi dell'esistenza di quello che pensa.

Di qua dal pensiero, la natura è sentimento; e, come puro sentimento, è inattuale. Nel pensiero il sentimento diventa consapevole di sé, diventa Io. Come sentimento e come pensiero, nella sua inattualità e nella sua attualità, la natura è bellezza.

L'infinità della natura é la stessa infinità del sentimento, che si attua nell'infinità del pensiero. Perciò la reale infinità della natura non è quella che ci si immagina come già tutta posta (come ritiene il naturalismo), ma quella che si viene realizzando con il pensiero.

La natura bella

La natura può dirsi bella solo se viene considerata nella sua totalità (ossia nell'infinità), non nelle sue parti.

La parte singola della natura, infatti, è solo una certa massa materiale che non ha vita, e non può comunicarci alcuna vibrazione sentimentale. L'infinità della natura, invece, svela l'anima che c'è dentro, ossia il sentimento.

  1. GENIO, GUSTO, CRITICA.

Il genio.

Attraverso la teoria della natura bella si può comprendere l'importanza attribuita da Gentile alla figura del genio, che è genio poetico.

Il genio, infatti, è il creatore della vita spirituale. Attraverso di loro, tutti gli uomini vengono in possesso del loro mondo, di se stessi, di ciò che aspirano ad essere. Il sentire del poeta è lo stesso sentire di tutti gli uomini, ma è lui solo in grado di riconoscerlo e trasmetterlo ai molti.

L'uomo d'azione e il pensatore pure vengono esaltati per le loro doti, ma essi riflettono solo la luce che proviene dalla poesia del genio. Solo il poeta è colui che gode del riconoscimento degli altri uomini.

Il genio non è pensiero

Il genio non è il pensiero, bensì la soggettività stessa del soggetto.

Non va inteso come il privilegio di alcuni spiriti superiori. Esso è piuttosto di tutti; tuttavia, bisogna che lo si faccia emergere (pur riconoscendo che non lo si impara, non lo si trasmette, non lo si insegna).

Il genio è natura

Il genio è natura, come realtà pulsante spiritualmente nel sentimento. E' la vita che pullula dentro la soggettività e che ci da modo di non restare passivi spettatori del mondo, ma di parteciparvi attivamente; anzi di crearci via via il mondo nostro.

Si tratta di una identità (genio=natura) che non deve essere confusa con il concetto di imitazione; giacché, senza la sua assoluta originalità, il genio non sarebbe creatore. Egli, infatti, non crea il mondo fuori di sé, ma dentro se stesso.

L'ingegno

Dal genio, che è sintesi e creazione, va distinto l'ingegno, che è analisi e pensiero astratto (teoria senza pratica, puro intellettualismo).

Chi ha ingegno, e non genio, non ha abbastanza forza soggettiva da sentirsi impegnato in ogni momento nel mondo. Crede, piuttosto, di esserne lo spettatore; pertanto, guardando la realtà dall'esterno, si propone di osservarla e conoscerla nei particolari meno appariscenti, per cui non può che vederla come una molteplicità infinita. Al contrario il genio, tormentato dall'ansia di creare il mondo, non cura i particolari.

A differenza del genio, l'ingegno non aspira all'originalità; si fa fonte delle piccole virtù della scienza e della vita. Mentre il genio è l'architetto, l'ingegno è il manovale. Ma sono pur sempre entrambi necessari.

Il gusto

Il concetto del gusto rende possibile l'appercezione dell'elemento artistico dell'opera d'arte, senza la quale non ci sarebbe né critica d'arte, né storia.

Il gusto è lo stesso genio nella sua dialettica. Tanto è vero che non si può pensare il genio senza gusto, né tantomeno il gusto senza genialità (una genialità in quanto partecipa al genio dell'artista, ossia al suo gusto).

La critica e il tradurre

La critica è gusto; ma non solo. Il gusto, infatti, ha la stessa inattualità dell'arte; mentre la critica è pensiero, e quindi filosofia e storia.

Il compito della critica è scoprire il bello dell'opera d'arte: interpretare, attraverso la molteplicità della parola (assumendo come opera un'opera letteraria), l'unità del soggetto che ci comunica il suo sentimento. Per meglio intendere in cosa consista la critica, si deve assumere fino in fondo il valore della traduzione, per capire che non c'è un'opera d'arte attuale e viva se, nel momento della sua composizione, non viene realizzato un processo di traduzione.

Ogni scrittore, infatti, ha una sua lingua con delle sue parole, animate dalla sua anima. Ogni parola, pertanto, ha il suo senso solo nel contesto in cui è inserita, che è unico, singolare e irripetibile. Nell'atto stesso dello svolgimento del suo tema, il poeta svolge una prima traduzione: per cui ogni parola già adoperata si anima di nuova vita e svela il suo più profondo significato nello stesso procedere della stesura. Ogni parola diventa una nuova parola, e questo grazie alla traduzione.

Questo primo autotradursi della poesia e di ogni opera d'arte rende manifesto il carattere spirituale della creazione artistica. Nel tradurre, se si traduce bene, l'opera non perde nulla, ma acquista; giacché, nel suo procedimento, la parola è la vita del sentimento.

  1. ARTE LIBERATRICE.

Il diletto e il difetto dell'arte

Come Aristotele aveva osservato nella catarsi l'attributo specifico della poesia tragica, così Gentile osserva come l'attributo del diletto sia relativo ad ogni forma di poesia. Ora, se il fine della tragedia è quello di liberare dal dolore (catarsi), si può altrimenti dire -con Gentile- che la liberazione dal dolore sia il diletto in cui il sentimento si realizza.

L'estetica moderna ha condannato il diletto come un carattere edonistico dell'estetica classica, tuttavia, in questo studio, Gentile intende recuperarlo reinterpretandolo come momento dell'attività spirituale, ossia nel sentimento, che è l'essenza dell'arte.

La catarsi

Per Aristotele lo spettatore partecipa al dolore che colpisce il protagonista del dramma, fino a che non riesce a liberarsene appunto nella catarsi. Aristotele era convinto che la catarsi, e il dolore che la genera, fossero propri della particolare struttura del genere tragico; non era ancora arrivato all'idea che fossero piuttosto 2 caratteri propri del sentimento.

La catarsi, per Gentile, è piuttosto riconquista della pura soggettività, un ritorno del soggetto a se stesso; e questa riconquista non si realizza se non nella circolarità del ritmico processo del soggetto.

Il sentimento che offre il contenuto alla tragedia è, di per sé piacere del soggetto; ma, pensando, questo piacere nega se stesso nel dolore. E non è possibile altrimenti, giacché il pensare non è intuizione e immediata scoperta di sé; ma processo che si attualizza attraverso la negazione nell'opposto. Quando il circolo del pensiero si chiude e ritorna al sentimento (dove il soggetto ritrova il suo piacere nella sua infinità e libertà), qui è la catarsi di ogni opera d'arte.

Alla fine il soggetto, nel circolo del pensiero, torna a sé, ma nel suo compiersi questo processo è sempre dolore. Un dolore che non avrebbe mai tregua se non passasse attraverso l'arte.

La consolazione dell'arte

L'arte è per l'uomo rifugio da ogni dolore. Essa, come pura soggettività, trae l'autocoscienza dalla periferia al centro, dove il soggetto si riconosce nella sua infinità ed libertà. Il soggetto torna presso se stesso, ma ne seguirà una nuova sintesi, poiché all'arte segue immancabilmente la critica, in cui lo spirito riprenderà coscienza di sé in un nuovo pensiero.

Dunque, se tutta la vita è per l'uomo una tragedia, l'arte ne rappresenta la catarsi.

Per intenderci, l'arte non si manifesta nelle sole opere d'arte, ma in tutte le opere dello spirito (speculative o pratiche che esse siano).

La religione consolatrice

(manca)
  1. arte e morale.

L'azione morale.

Con questo lavoro, Gentile si propone di indagare l'essenza dell'arte, pertanto non può prescindere dal tener conto di tutta la vita dello spirito. Ma tutto lo spirito è pratico (giacché non c'è pensiero che, non potendo non essere un prodotto di se stesso, non sia da considerare produttivo di realtà, ossia attività pratica e produttiva), e dunque morale.

Di qui la necessità di indagare i rapporti tra arte e morale.

La potenza creativa di realtà non deve essere relegata alle figure di profeti o filosofi senza braccia, ma a tutti gli uomini, in quanto immersi nel mondo e forniti della loro specifica corporalità.

Ogni giorno, infatti, l'uomo deve affrontare e risolvere un problema, e deve farlo con i mezzi che ha a disposizione (che vanno dal cervello alle mani e alle braccia, dagli utensili che egli ha costruito agli animali che è riuscito a soggiogare al suo potere); e dalla potenza della sua soggettività tornerà a dispiegarsi come pensiero e pertanto soluzione del problema, che era un suo bisogno.

L'azione

Il soggetto, che è principio del pensiero come autocoscienza, portando nella sintesi tutto se stesso, diventa azione.

Ciò vale anche per l'arte, dato che sappiamo che il soggetto porta tutto se stesso nell'opera d'arte, che è la sintesi spirituale; giacché, se non vi mettesse tutto se stesso, all'opera d'arte, guardata da un punto di vista estetico, mancherebbe proprio l'infinità. Ora, in quanto pensiero concreto, non c'è azione che non sia opera d'arte; sebbene l'azione sia poi anche altro.

L'opera d'arte, infatti, manca dell'elemento oggettivo (e, dunque, la sintesi come unità di soggetto e oggetto), essenziale invece all'azione. Mentre altri campi, che pure non realizzano la sintesi del soggetto e dell'oggetto, mancano invece dell'elemento soggettivo: al pensiero religioso, al pensiero scientifico (che è analisi dell'oggetto, in opposizione all'unità e infinità del soggetto), al pensiero della natura (concepita realisticamente e materialisticamente), al pensiero metafisico (che specula su una realtà trascendente).

La vita morale

Partendo dal presupposto che la vita morale, e con essa l'operare morale, è propria di tutti gli uomini; possiamo osservare che anche la filosofia è un privilegio indiscusso dell'uomo in quanto tale. Infatti ogni operare morale è un filosofare concreto.

La filosofia è la sola in grado di correggere agli errori morali in cui incorriamo, perché è l'unica attività del pensiero in grado di attuare la piena consapevolezza del sé. Infatti essa ci richiama alla responsabilità, non solo di ciò che siamo noi, ma anche di tutto ciò che si distingue da noi (giacché è in noi, identico al nostro noi più profondo).

Nello specifico, la filosofia si attua nella concretezza del soggetto, che nella sua infinità comprende tutto, e cioè nella sintesi del soggetto con l'oggetto (che pure è infinito). In altri termini, non fa altro che attuare la dialettica stessa del pensiero.

Il carattere pratico dell'arte

Giacché il contenuto dell'opera d'arte è tutt'uno con il sentimento dell'artista, e in questo sentimento c'è già una certa discriminazione morale, e quindi pratica, allora si può dire che nell'arte si esprime la moralità di colui che la crea.

Dietro l'artista c'è l'uomo, la sua educazione, la sua coscienza morale.

E' da escludere, infatti, che l'arte possa rispondere all'attributo dell'utilità, ed avere perciò dei fini estrinseci all'edificazione di se stessa. Questo significherebbe, infatti, negare libertà autonomia e infinità al sentimento che la genera.

La moralità dell'arte

Poiché l'arte consiste nel superamento del contenuto (essa è sentimento puro), non le si può chiedere la stessa moralità della filosofia. Manca quella concreta sintesi in cui l'uomo agisce universalmente e moralmente.

A quanto detto prima bisogna aggiungere che, se dietro l'artista c'è l'uomo, egli è pur sempre un uomo sognante: tutto raccolto nella sua soggettività, egli riconosce ed esprime pure un oggetto in una sintesi, la quale, tuttavia, rimane sempre sbilanciata nella sua soggettività. Pertanto, nella sua opera l'artista non riconosce altra vita spirituale che la propria.

Ora, affinché nell'arte il pensiero possa raggiungere la pienezza della sua sintesi, deve compiere il proprio dovere. Ciò significa che l'artista deve rispondere fedelmente al mondo, al suo mondo, con onestà e sincerità.

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